Stato attuale

P. Raffaele da S. Elia A Pianisi 

Venerabile

Carissimi fratelli,

durante la Sessione Ordinaria della Congregazione delle Cause dei Santi, i Cardinali e i Vescovi hanno riconosciuto che il nostro confratello, il servo di Dio padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, ha vissuto in maniera eroica le virtù teologali (fede, speranza e carità), cardinali (fortezza, giustizia, prudenza, temperanza) e quelle del suo stato di consacrato (povertà, castità e obbedienza). Pochi giorni dopo, il 6 aprile 2019, il Santo Padre ha autorizzato il medesimo Dicastero a promulgare il relativo decreto super virtutibus.

Il percorso che ha portato a questo passaggio nel cammino verso il riconoscimento della santità di padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi parte nel 1948 quando, dopo la seconda guerra mondiale, padre Emilio da Matrice chiese al vescovo di Benevento mons. Agostino Mancinelli l’apertura della Causa di beatificazione e canonizzazione. L’inchiesta diocesana fu aperta nel 1950 e produsse i documenti necessari, che furono presentati alla Congregazione delle Cause dei Santi il 7 gennaio 1958. Da quel momento, mentre la fama di santità non veniva mai meno, la Causa subì un lungo rallentamento, che fu superato solo in vista del centenario della morte del Servo di Dio e con la nomina di fr. Camillo Colavita all’incarico di vicepostulatore, che chiese l’apertura di un’inchiesta suppletiva, dalla quale scaturì una documentazione integrativa, validata con decreto del 15 febbraio 2008 e che ha portato, finalmente, al riconoscimento della venerabilità.

La nostra Provincia religiosa e tutto l’Ordine cappuccino non possono che rallegrarsi per il riconoscimento delle virtù di un nostro confratello. Quest’occasione deve diventare motivo di gioia e di ringraziamento a Dio, ma anche di riflessione e di incoraggiamento per il cammino di santità a cui tutti siamo chiamati. Vorrei che questo evento costituisca anche l’occasione per presentare la figura del novello Venerabile nelle nostre fraternità, alla famiglia francescana, a tutti coloro che frequentano le nostre chiese.

Padre Raffaele, al secolo Domenico Petruccelli, è nato il 14 dicembre 1816 da Salvatore e Brigida Mastrovita, a Sant’Elia a Pianisi, in provincia di Campobasso, in un contesto sociale che si distingueva per l’attaccamento ai valori cristiani, alla famiglia e al lavoro. I genitori del futuro padre Raffaele erano contadini onesti e con una situazione economica piuttosto agiata. I primi anni della giovinezza di Domenico trascorsero nel lavoro dei campi. Poi il padre, che sognava per lui una vita lontana dai campi, lo avviò ai mestieri di fabbro e di calzolaio, ma il ragazzo coltivava nel cuore il desiderio di farsi religioso nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Il genitore, che aveva notato una certa incostanza nel figlio nelle attività lavorative in cui si era cimentato e avendo paura di un fallimento, non era favorevole ad assecondare la sua vocazione.

Nonostante ciò, il 10 novembre 1834, Domenico Petruccelli vestì l’abito dei Frati Minori Cappuccini nel noviziato di Morcone e prese il nome di fr. Raffaele. Il 10 novembre 1835, esattamente un anno dopo, emise i voti dei consigli evangelici. Dal 1836 al 1840 svolse il suo curriculum di studio nei conventi di Agnone (1836), Serracapriola (1837), Bovino (1838) e Larino (1839) dove, il 29 marzo 1840, venne ordinato presbitero.

Dopo aver dimorato a Benevento, Torremaggiore e, probabilmente, a Serracapriola, nel 1852 ritornò a Morcone per ricoprire il compito di vice-maestro e, poi, di maestro dei novizi. Nel 1857 fu trasferito a Campobasso e prestò il suo ministero presbiterale principalmente presso la chiesa della Madonna della Libera. Furono anni di intenso e fecondo apostolato: tutti i fedeli restavano ammirati dalla testimonianza umile e semplice di padre Raffaele, che cominciò a essere indicato con l’appellativo di “monaco santo”. Fu ricercatissimo come direttore spirituale e confessore e, nello stesso periodo, cominciarono le prime manifestazioni di fatti straordinari: alcuni confratelli lo videro elevarsi in estasi, parlare con la Vergine «a voce alta e con confidenza di figlio». Intenso, durante la sua permanenza nel capoluogo molisano, fu il suo servizio a favore dei carcerati e dei moribondi della città.

Nel 1865 fece ritorno, per disposizione dell’autorità civile, che aveva preso possesso del convento, al suo paese natale e vi rimase per circa venti anni. Furono anni duri, a causa della legge soppressiva del 7 luglio 1866, che mirava alla confisca del patrimonio ecclesiastico e imponeva ai religiosi di lasciare i propri conventi. A padre Raffaele venne concesso di continuare a portare l’abito cappuccino e, assieme ad un altro confratello, di rimanere in un’ala del convento, unico caso in tutta la Provincia religiosa dei Frati Minori Cappuccini di Foggia. Il resto della struttura fu dato in affitto a una famiglia napoletana. Furono anni di grande sofferenza per la dispersione che la Provincia dovette subire e per la situazione generale della vita dei religiosi. Questo momento critico, però, servì da incentivo all’attività pastorale e all’osservanza della vita di consacrato di quel Cappuccino privilegiato, che rimase punto di riferimento per i “santeliani” e per tutti coloro che lo avevano incontrato nei conventi in cui aveva prestato il suo servizio e che a lui continuavano a rivolgersi per il suo illuminato consiglio e la sapiente guida che riusciva ad offrire nella vita di fede. Nel 1886, quando si rivelò possibile e necessaria un’azione per ricostruire la Provincia, a padre Raffaele venne chiesto di tornare nella fraternità di Morcone quale frate esemplare e adatto al riavvio della casa di noviziato. In effetti, quando le attività di questo convento furono affidate ai frati cappuccini toscani, egli fu l’unico della nostra Provincia a rimanere nella casa di formazione, così i giovani frati potettero crescere all’ombra di un tale esempio di consacrazione e di santità. Il 18 settembre 1900, accolto con trionfo e devozione, tornò a Sant’Elia a Pianisi. Così, per volere della divina Provvidenza, “il monaco santo” trascorse tra i suoi paesani gli ultimi mesi della sua vita. Qui, la sera dell’Epifania del 6 gennaio 1901, tra le 20,30 e le 22, si spense serenamente.

L’avventura terrena di padre Raffaele si è svolta in una situazione storica non facile per la società, per la Chiesa e per la nostra Provincia, in un clima di sconvolgimenti, trasformazioni e grandi tensioni. In un mondo travagliato egli si è rivelato uomo attento agli avvenimenti che lo circondavano e fermo nella fedeltà al Vangelo e alla sua vocazione. Costante è stata la sua preoccupazione per la “perfetta osservanza della Regola” all’interno della Fraternità provinciale che, reduce dalle conseguenze della soppressione e vittima di un “uso comune” tendente a sminuire l’intensità dello stile della vita religiosa, necessitava di un rinnovato amore per la Regola e le Costituzioni del nostro Ordine. In quest’anelito di padre Raffaele possiamo leggere il profondo desiderio di essere un fedele sacerdote e un “vero religioso”, degno seguace di san Francesco. Tale desiderio di autenticità, che lo ha sempre animato, è una qualità umana e spirituale che rende l’uomo degno di fiducia e apprezzato agli occhi di chi lo incontra. Perciò, questo nostro Confratello “santeliano”, profondamente fondato sul suo essere frate minore cappuccino, fu ritenuto adatto alla vita nella casa di noviziato e di lui stesso è stato detto che «visse sempre come un novizio», espressione plastica con la quale si è voluto indicare il suo entusiasmo e la freschezza sempre conservata nella professione dei consigli evangelici. Accanto ad una radicata identità cappuccina, per la quale ha lottato e sofferto, si staglia, fecondo, il suo ministero presbiterale di cui fu testimone privilegiata la chiesa di Santa Maria della Libera in Campobasso, dove, da quanto ci informano le testimonianze, accanto a un’intensa vita di preghiera, ha potuto mettere a frutto la sua carità sacerdotale, che attirava tante persone alle sue celebrazioni e che lo spingeva a farsi vicino, instancabilmente, oltre che ai moribondi, soprattutto ai carcerati e ai soldati, protagonisti, in modo diverso, di un periodo storico turbolento per le regioni del Meridione.

Nella vita di padre Raffaele si evidenzia, in modo particolare, il riscontro popolare della sua santità. Come sempre, ciò che incide nella vita delle persone e ciò che edifica la Chiesa è l’esempio, il comportamento che, soprattutto i religiosi e i presbiteri, hanno come mezzo privilegiato di evangelizzazione e di santificazione. Si dice che ogni essere umano abbia una sua “firma chimica”, un suo specifico odore, che è unico. La santità è la capacità, è il dono di rinunciare al proprio profumo per assumere il profumo di Dio, come dice sant’Agostino: «Il Cristo diventa l’oggetto di ciascun senso dell’anima. Egli chiama se stesso la vera “luce” per illuminare gli occhi dell’anima, il “Verbo” per essere udito, il “pane” di vita per essere gustato. Parimenti, egli è chiamato “olio” e “nardo”, perché l’anima si diletti dell’odore del Logos; egli è divenuto “il Verbo fatto carne” palpabile e attingibile, perché l’uomo interiore possa cogliere il Verbo di vita»1. Come attestano i suoi contemporanei, era tutta la figura di padre Raffaele a suscitare ammirazione e rispetto: il suo modo di vivere e di comportarsi era riflesso della sua fede e della sua unione con Dio. È nella rinuncia a se stessi, al “proprio profumo”, che si fa spazio al profumo di Cristo. Spesso, quando qualcuno si rivolgeva a lui per chiedere qualche “miracolo”, qualche segno, egli faceva emergere la sua meraviglia e la sua confusione per il fatto stesso che si ricorresse a lui. A un sacerdote che gli chiedeva conforto rispose:

«Mi meraviglio come nel cercare conforto vi volgete a me, miserabile creatura, bisognosa di conforto. Se volete conseguir conforto, volgetevi a Dio, Padre delle misericordie, Dio di tutta la consolazione. A Gesù Cristo, che si è fatto uomo per la consolazione di tutto il mondo. A Gesù Cristo il quale dice a tutti gli afflitti: Venite ad me, qui oneratis estis, et ego reficiam vos. A Maria Santissima e ai santi avvocati, che pregano continuamente per noi. E poi voi siete sacerdote, celebrate ogni mattina. Colla voce vostra medesima sacerdotale, chiamate il Figliolo di Dio, ed Egli, obbedientissimo alla vostra voce, dal Paradiso viene sull’altare, onde alloggiare nella casa del vostro cuore. E qual grazia non potete voi ottenere allora da un Ospite sì ricco?».

Da questa risposta si può evincere come, a fondamento del suo pensare, c’era il riconoscere che tutto è di Dio e viene da Dio. Tale certezza era fondamento dell’ubbidienza che lo ha sempre caratterizzato, della sua umiltà, che espresse in modo particolare in preparazione alla sua ordinazione presbiterale, della sua povertà nella gestione delle cose quotidiane con un distacco personale che non lo ha fatto, comunque, desistere dalla ricerca della giustizia.

Nella figura di padre Raffale possiamo trovare un esempio di come la vita, radicata in Cristo, trova la forza di essere provocatoria, fedele, decisa, capace di andare controcorrente, di essere se stessa anche in mezzo alle difficoltà e alle avversità. Egli è stato un vero contemplativo, pienamente inserito nella storia del suo tempo.

Davvero possiamo rallegrarci, allora, in quest’occasione e, come ci ammonisce san Francesco nella sesta ammonizione, non cadiamo nell’errore di vantarci di quello che altri hanno fatto, ma dai nostri confratelli santi vogliamo prendere l’esempio e l’incoraggiamento nella sequela del Signore «nella tribolazione e persecuzione nell’ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose».

Vogliamo fare nostre le parole che san Pio ha indirizzato alla figura di padre Raffaele e con lui vogliamo chiedere la sua intercessione, in modo particolare per la nostra Provincia, perché possa essere animata dallo stesso spirito di autenticità che ha acceso il venerabile Confratello “santeliano”, contro un “uso comune” che, anche oggi, si può insinuare nella vita religiosa attraverso tutte quelle forme di rilassamento che rischiano di rendere vana la sostanza del messaggio francescano. Vogliamo chiedere, per tutti noi, la passione e la capacità di essere testimoni per i nostri giovani in formazione, il fervore nell’apostolato presso il popolo di Dio e la forza di saper affrontare, da protagonisti, i problemi del nostro tempo.

In conclusione, vorrei ringraziare i frati della nostra Provincia che hanno lavorato finora come vicepostulatori o attraverso importanti ricerche alla Causa di beatificazione e canonizzazione di padre Raffaele: fr. Rosario Borraccino, fr. Camillo Colavita, fr. Luciano Lotti e fr. Aldo Broccato.

Infine, permettetemi di esprimere una particolare gratitudine alla comunità cittadina di Sant’Elia a Pianisi, dove è possibile respirare, ancora oggi, nella generosità e nell’affetto della gente verso di noi frati cappuccini, un segno della presenza e della santità di padre Raffaele, di san Pio e di tanti altri frati che in quel luogo hanno potuto svolgere, sempre accolti e benvoluti, il proprio cammino di vita religiosa e la propria attività di apostolato. Possa il Signore benedire, anche attraverso il dono di nuove vocazioni sacerdotali e religiose, tutti i “santeliani” che, con tutta la nostra Provincia e il nostro Ordine, si rallegrano per il riconoscimento della venerabilità del loro illustre e stimato Concittadino.


Foggia, 23 maggio 2019


fr. Maurizio Placentino OFM Cap
Ministro Provinciale

Condividi su: